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Restauri conclusi
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Il volto di avorio
A marzo del 2003 sono stati consegnati all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro in custodia giudiziale, numerosi reperti di avorio in frammenti, provenienti da sequestro. Le opere, recuperate sul mercato antiquario estero, provenivano da uno scavo clandestino effettuato presso Cesano (Anguillara).
Si trattava del viso in avorio pertinente a una statua crisoelefantina, rinvenuto con un gruppo di frammenti riferibili ad almeno due statue. L’eccezionalità del ritrovamento è da attribuire non solo all’elevatissima qualità della fattura ma anche alla sua estrema rarità.
I reperti presentavano uno stato di conservazione molto precario, con numerose fessurazioni e decoesioni superficiali del materiale costitutivo, dovute probabilmente a repentine variazioni termoigrometriche. Molti frammenti sono stati sommariamente ripuliti dalla terra e alcuni di essi, i più rappresentativi, sono stati oggetto, prima del loro arrivo in I.C.R., di trattamenti di adesione e consolidamento.
Si ringrazia la dott.ssa Maria Rita Palombo dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dipartimento Scienze della Terra, per la sua disponibilità e proficua collaborazione.Il lavoro è stato pubblicato:
L. Del Buono (a cura di), I volti del mistero, Roma, Palazzo del Quirinale 20 gennaio-20 marzo 2005, Villanova di Castenaso (Bologna)
Il volto d'avorio: l'eccezionale recupero di un'opera trafugata, L'Erma di Bretschneider, Roma 2004
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Autoritratto in argilla di Ippolito Scalza, Orvieto
In questa sede si presenta il restauro di una testa in argilla proveniente dai depositi dell’Opera del Duomo di Orvieto. La testa è quel che rimane di un modello in argilla della statua marmorea di San Tommaso, realizzata da Ippolito Scalza e posizionata nella cattedrale nel 1587, nell’ambito del progetto del ciclo scultoreo dell’Apostolato. E’ testimoniato che la figura di San Tommaso sia un autoritratto di Ippolito Scalza, che si ritrae qui in veste di architetto.
Escludendo il basamento, la testa è alta circa 45 cm, realizzata con argilla caricata con fibre di materiale organico e rifinita superficialmente con uno scialbo bianco di calce. Attualmente risulta vincolata a un basamento in marmo con il logo dell’Opera del Duomo, risalente probabilmente al 1882.
Il restauro, condotto nel laboratorio “Ceramiche, Vetri e Smalti” dell’ISCR, ha offerto l’occasione di studiare questa pregevole opera e di approfondire le tecniche esecutive che l’artista ha usato per costruire il modello della statua. Oltre a ciò, le problematiche conservative che poneva erano piuttosto insolite, data la peculiarità del materiale costitutivo.
Il manufatto versava in preoccupanti condizioni di degrado e per eseguire l’intervento di restauro è stato necessario fare un’attenta selezione dei materiali da usare, al fine di identificare quelli più idonei.
L’opera risultava compromessa anche dal punto di vista statico, pertanto è stato indispensabile creare un nuovo sistema di sostegno, per la cui realizzazione ci si è avvalso delle collaborazione con la ditta Equilibrarte (Antonio Iaccarino Idelson, Carlo Serino).Inoltre si ringrazia Alessandra Cannistrà dell’Opera del Duomo di Orvieto per la sua cortese collaborazione.
Il lavoro è stato oggetto della seguente pubblicazione:
Huber E., Iaccarino Idelson A., Serino C., Cannistra A., Il restauro di un’opera d’arte molto degradata: la testa del modello in argilla della statua di san Tommaso dal Duomo di Orvieto, in In: Lo Stato dell’arte, XIV Congresso Nazionale IGIIC, L’Aquila 20-22 Ottobre 2016, pp. 279-288
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Anfora in vetro da Montecilfone, Campobasso
Nel giugno del 2015 è stato portato nel laboratorio “Ceramiche, Vetri e Smalti” un reperto in vetro frammentario proveniente da una sepoltura femminile nella località Montecilfone (CB) in Molise. Si trattava di un’anfora in vetro dal colore poco leggibile perché scurito per effetti dell’interramento, estremamente frammentata, che al suo arrivo era ancora nel blocco di terra con il quale era stata recuperata dallo scavo. Il pessimo stato di conservazione del manufatto rendeva l'intervento di restauro delicato e difficile.
Con il presente contributo si intende illustrare questo tipo di intervento.
Prima dell’ intervento di restauro la forma del vaso era poco comprensibile e classificata come “probabile brocca”. Solo nel corso del restauro si è potuto accertare che si tratta di un' anfora in vetro leggermente verdognolo, alta circa 21cm. Ha un corpo globulare fino alla spalla, a partire dalla quale si assiste ad un cambiamento del profilo. Dalla spalla si innestano due anse verticali a nastro con nervature centrali, che finiscono sul collo cilindrico. Questo si allarga poi a imbuto e termina in un labbro ripiegato, decorato esternamente con dei filamenti in vetro applicato.
Lo spessore del vetro è molto disomogeneo e varia da molto sottile (meno di un millimetro sul ventre) a molto grosso (per esempio lo spessore delle anse, di ben 5 mm). Il manufatto è ottenuto per soffiatura a bocca, con successiva applicazione del piede ad anello e delle due anse.
Si tratta di un tipico oggetto della produzione del vetro romana del III. sec. d.C., datazione confermata anche dagli altri reperti rinvenuti nella tomba. -
Il paliotto di San Domenico, Museo dell'Opera del Duomo, Orvieto
Il restauro del paliotto in cuoio dorato e dipinto detto “di San Domenico”, giunto a conclusione presso il Laboratorio manufatti in cuoio dell’ISCR, è stato effettuato nell’ambito dei progetti conservativi che l’Istituto da tempo conduce insieme con l’Opera del Duomo di Orvieto e la Soprintendenza dell’Umbria. Lo studio del paliotto, in vista del completamento del suo restauro, è stato inoltre oggetto di una tesi di diploma presso la Scuola di Alta Formazione dell' Istituto, nel corso della quale è stata affrontata una sperimentazione sugli adesivi che ha condotto ad un’utile individuazione di materiali e metodologie per il restauro dei manufatti in cuoio.
Il paliotto (97x214cm), si compone di più pelli cucite tra loro, dorate, impresse a rilievo con matrici lignee e dipinte ad olio con pigmenti e lacche. È caratterizzato da una decorazione con volute di foglie d’acanto e inserti floreali che corre lungo il fregio e le due quinte laterali.
I motivi floreali dello sfondo si ripetono in senso orizzontale, con un ritmo alterno in cui ad un fiore grande segue un fiore piccolo. Il fondo su cui si staglia la decorazione floreale è trattato anch’esso a rilievo, presentando una texture che ricorda la vibrazione luminosa dei parati a broccature d’oro.
Nella parte centrale compare l’immagine, inscritta in un clipeo, di San Domenico di Guzmàn, fondatore dell’omonimo ordine di frati predicatori, rappresentato con la tunica bianca e il mantello nero.
Si ringraziano tutti coloro che hanno partecipato a diverso titolo a questo restauro, in primo luogo Mara Nimmo, che lo ha seguito e diretto nei primi anni, e Lidia Rissotto. Un grazie inoltre a Manuela Andreano, che ha dedicato all'argomento la tesi di diploma, e a Paola Biocca che ha collaborato all'esecuzione delle indagini scientifiche. Infine un ringraziamento particolare a Sara Iafrate, che oltre ad avere condiviso il lavoro di tesi con Manuela Andreano ha partecipato in maniera sostanziale al restauro.
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