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Restauri conclusi
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Le asce in rame di Batrawy
Nell’anno 2005 L’Università di Roma La Sapienza ha ripreso le campagne di scavi archeologici in Giordania con l’obiettivo di approfondire il fenomeno culturale della nascita delle città nella valle del Giordano, fenomeno che sottolinea l’unità culturale dell’intero Levante “siro-palestinese” nell’Età del Bronzo.
L’anno precedente il prof. Lorenzo Nigro, insieme ai due allora dottorandi Andrea Polcaro e Maura Sala, aveva individuato l’antico insediamento, ancora inesplorato, di Khirbet al-Batrawy, nome dello sperone roccioso che domina la vallata dell’attuale cittadina di Zarqa. Questi sopralluoghi preliminari furono condotti anche con Zeidan Kafafi, professore di archeologia alla Università dello Yarmouk (Irbid).Il Direttore della Missione archeologica in Giordania è il prof. Lorenzo Nigro (Università di Roma “La Sapienza”, Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico, Archeologia Fenicio-Punica), che ha diretto anche l’intervento di restauro delle quattro asce eseguito presso l’Istituto. Il Direttore sul campo è la dott.ssa Maura Sala (Archeologia e studi classici, del Mediterraneo Antico e del Vicino Oriente).
Le relazioni preliminari su ciascuna campagna di scavi sono pubblicate nella rivista Scienze dell’Antichità dell’omonimo Dipartimento della Sapienza, mentre i rapporti di scavo sono presentati nella serie ROSAPAT, edita dalla Sezione Vicino Oriente del medesimo Dipartimento.Contenuto tratto da: Nigro L., Nel Palazzo delle Asce di Rame, ROSAPAT/Colour Monograph I, Roma 2010.
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La cassaforte della casa dei Vettii, Pompei
L’Istituto è stato presente, fin dal 1996, nella domus dei Vettii di Pompei con un progetto di restauro integrale, rivolto non solo al complesso architettonico con le sue finiture, ma anche alle decorazioni e agli arredi.
Fra questi ultimi, particolare importanza rivestono le due casseforti dell’atrio. Quella meridionale, oggetto dell’intervento di restauro, presentava uno stato di conservazione estremamente precario, tale da consigliare la sua rimozione dal sito.
Pertanto nel 1998 l’Istituto ha realizzato un cantiere didattico sul manufatto per effettuare alcuni interventi propedeutici alla sua messa in sicurezza durante la manipolazione, l’imballaggio ed il successivo trasporto presso il Laboratorio Metalli e Leghe dell’ISCR. In tale occasione è stata approntata una struttura atta a sostenerne il notevole peso (kg 150 circa).
In seguito, nell’ambito delle attività didattiche della Scuola di Alta Formazione dell’Istituto, si è giunti alla definizione del progetto ed alla realizzazione di parte dell'intervento di restauro. Il suo completamento, con l’esecuzione del supporto definitivo e la documentazione grafica conclusiva sono stati affidati al Consorzio Kavaklik di Roma.Gabriella Prisco (già ISCR): RUP e Direttore lavori
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Tibiae, Museo degli Strumenti Musicali, Roma
Il restauro di una doppia tibia romana ci ha offerto l’occasione di studiare approfonditamente gli aspetti tecnologici di tale strumento musicale.
Le tibiae romane discendono dagli auloi greci che si compongono di due tubi divergenti costituiti da una canna, perforata da un certo numero di fori e da un’ancia. L’auleta li suonava contemporaneamente, ognuno con una mano e per questa ragione si parla di auloi al plurale o tibiae. Le tibiae erano spesso a canna cilindrica e realizzate in osso od avorio. Il suono era prodotto dalla vibrazione dell’ancia indotta dal soffio del suonatore. I suonatori di auloi e tibiae adottavano una fascia (phorbeia) per trattenere i due strumenti alle labbra; essi si ricongiungevano solo nella bocca. Il suonatore impugnava in ogni mano una canna con il pollice sul lato inferiore. Nella Grecia antica gli auloi avevano da tre a cinque fori, numero che è aumentato successivamente durante il periodo romano.
Inizialmente l’aulòs era intagliato nella specie vegetale harundo donax (canna). Più tardi questa materia fu abbandonata per avorio o osso, legni preziosi, o metallo. Il termine romano “tibiae” deriva probabilmente dal materiale con cui lo strumento era prevalentemente costruito (tibie di animale).Il lavoro di restauro si è svolto sotto la direzione di Roberto Petriaggi. Si ringraziano inoltre Barbara Davidde, Giorgio Tavlaridis, Giovanni Tardino e Orlando d’Achille per i loro suggerimenti e la cortese collaborazione.
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La fiaccola (Ecco il Moccolo), Edoardo Müller, Accademia Nazionale di San Luca, Roma
Il cantiere dedicato agli studenti del terzo anno percorso formativo 4 (Materiali e manufatti ceramici, vitrei, organici. Materiali e manufatti in metallo e leghe) si svolge nei mesi di luglio e settembre 2013 ha come oggetto il trattamento dei bronzi. La fiaccola è una di tre statue risalenti ad un periodo storico omogeneo, compreso tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, che essendo esposte da lungo tempo agli agenti atmosferici presentano tutti i danni tipici derivanti dall’aggressione di tali fattori, quali fenomeni corrosivi patine e croste nere. L’attività didattica è stata preceduta e accompagnata da adeguato supporto tecnico-scientifico.
Hanno partecipato al cantiere didattico gli studenti del 61° corso (PFP 4):
Nicola Pagani
Margherita RomanoSi ringrazia la restauratrice Marina Angelini della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma che ha partecipato, in qualità di docente, al cantiere didattico.
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