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  • Restauri - Restauri conclusi
  • Il rotolo dipinto giapponese "dei trentatré cavalli", Museo Stibbert, Firenze

  • Alla stanga, Giovanni Segantini, Galleria nazionale d'arte moderna, Roma

  • Tibiae, Museo degli Strumenti Musicali, Roma

  • Rotella da parata in cuoio. Museo Bagatti-Valsecchi, Milano

  • Gli affreschi di Polidoro da Caravaggio dal Casino del Palazzo del Bufalo a Roma

  • Angelo in maiolica, Museo dell'Opera del Duomo di Orvieto

  • Storie di Sant'Orsola. L'arrivo a Colonia, Vittore Carpaccio, Gallerie dell'Accademia, Venezia

  • La cassaforte della casa dei Vettii, Pompei

  • Cromatica, Guido Strazza, Macro, Roma

  • Mappa toroidale di 5 paesi e 4 colori, Sergio Lombardo, Macro, Roma

  • Il Satiro Danzante di Mazara del Vallo

  • La peschiera della villa romana di Torre Astura, Nettuno, Roma

  • Il polittico di Santa Sabina, cappella di San Tarasio, chiesa di San Zaccaria a Venezia

  • Elefantino di piazza della Minerva a Roma

  • Baia sommersa, Villa dei Pisoni, Pavimento in mosaico bianco

  • Baia sommersa, Terme di Punta dell'Epitaffio. Pavimento in opus sectile

  • Baia Sommersa, Via Erculanea

  • Pietà con San Giovanni, la Maddalena e un Vescovo, Chiesa di Sant'Agostino, Gallese

  • Il Mitra tauroctono dalla Civita di Tarquinia

  • Gonfalone storico dell'università La Sapienza di Roma

  • Amore in caccia, Adamo Tadolini - Museo Mario Praz

  • Bandiera storica Guardia di Finanza, Roma

  • Bandiera della Repubblica Romana, 1849

  • Clipeo raffigurante il Salvatore Benedicente, Guidonia Montecelio (RM)

  • La Madonna con i santi Giovanni Evangelista e Gregorio Taumaturgo di Guercino

  • Chiesa di Santa Marta
    stucchi della controfacciata

Restauri conclusi

  • Madonna con Bambino, Jacopo Sansovino, Vittorio Veneto

    Si è concluso nel 2017, nei laboratori dell’ICR, l’intervento di restauro del bassorilievo in cartapesta dipinta e dorata raffigurante la Madonna col Bambino (cm 120x102x13) attribuita a Jacopo Tatti detto il Sansovino (1486-1570) e custodita presso il Museo del Cenedese di Vittorio Veneto.

    Si tratta di una delle rare e preziose testimonianze di opere in cartapesta del ‘500, già oggetto di un intervento conservativo presso l’Istituto negli anni Ottanta. A distanza di circa 25 anni, si è resa necessaria una revisione di quel restauro, a causa di alcuni distacchi della pellicola pittorica e di un’alterazione dei ritocchi, che ottundevano il modellato e ne impedivano la corretta lettura.

     

    Gruppo di lavoro

    Direttore lavori: Laura D’Agostino

    Coordinamento e direttore operativo: Maria Vera Quattrini, Gloria Tranquilli

    Intervento di restauro: Maria Vera Quattrini, Maria Speranza Storace, Gloria Tranquilli, Stefania Di Marcello (restauratrice esterna)

    Indagini chimiche: Marcella Ioele

    Indagini biologiche: Gian Franco Priori

    Documentazione fotografica e riprese in fluorescenza U.V.: Angelo Rubino

    Documentazione grafica: Mara Bucci

     

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  • Gonfalone storico dell'università La Sapienza di Roma

    L’intervento di restauro è stato condotto in occasione delle Celebrazioni per gli 80 anni della Nuova Città Universitaria, Roma 1935. E' stato esposto durante i lavori del convegno in Aula Magna (23-25 novembre 2017).

    Il Gonfalone storico dell'Università La Sapienza di Roma è un manufatto tessile di ampie dimensioni (cm. 270 x 132) in seta, con ricami policromi e in filato metallico. Reca nel riquadro centrale l’icona storica del cherubino che rappresenta la pienezza di scienza e  in basso la lupa con i gemelli, simbolo di Roma. Nelle fasce verticali ai lati sono applicati gli otto stemmi delle facoltà e scuole che costituivano nel 1933 lo "Studium Urbis".

    Il gonfalone è attualmente esposto nella Sala del Senato Accademico del Rettorato dell'Università di Roma.

    Il restauro ha interessato unicamente le zone originali del manufatto quali il riquadro centrale e le fasce laterali di seta ricamate.

     

    Si ringraziano le ditte Barbara Santoro e Zahra Azmoun per la collaborazione al restauro.

     

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  • Autoritratto in argilla di Ippolito Scalza, Orvieto

    In questa sede si presenta il restauro di una testa in argilla proveniente dai depositi dell’Opera del Duomo di Orvieto. La testa è quel che rimane di un modello in argilla della statua marmorea di San Tommaso, realizzata da Ippolito Scalza e posizionata nella cattedrale nel 1587, nell’ambito del progetto del ciclo scultoreo dell’Apostolato. E’ testimoniato che la figura di San Tommaso sia un  autoritratto di Ippolito Scalza, che si ritrae qui in veste di architetto.
    Escludendo il basamento, la testa è alta circa 45 cm, realizzata con argilla caricata con fibre di materiale organico e rifinita superficialmente con uno scialbo bianco di calce. Attualmente risulta vincolata a un basamento in marmo con il logo dell’Opera del Duomo, risalente probabilmente al 1882.
    Il restauro, condotto nel laboratorio “Ceramiche, Vetri e Smalti” dell’ISCR, ha offerto l’occasione di studiare questa pregevole opera e di approfondire le tecniche esecutive che l’artista ha usato per costruire il modello della statua. Oltre a ciò, le problematiche conservative che poneva erano piuttosto insolite, data la peculiarità del materiale costitutivo.
    Il manufatto versava in preoccupanti condizioni di degrado e per eseguire l’intervento di restauro è stato necessario fare un’attenta selezione dei materiali da usare, al fine di identificare quelli più idonei.
    L’opera risultava compromessa anche dal punto di vista statico, pertanto è stato indispensabile creare un nuovo sistema di sostegno, per la cui realizzazione ci si è avvalso delle collaborazione con la ditta Equilibrarte (Antonio Iaccarino Idelson, Carlo Serino).

    Inoltre si ringrazia Alessandra Cannistrà dell’Opera del Duomo di Orvieto per la sua cortese collaborazione.

     

    Il lavoro è stato oggetto della seguente pubblicazione:

    Huber E., Iaccarino Idelson A., Serino C.,  Cannistra A.,  Il restauro di un’opera d’arte molto degradata: la testa del modello in argilla della statua di san Tommaso dal Duomo di Orvieto, in In: Lo Stato dell’arte, XIV Congresso Nazionale IGIIC,  L’Aquila  20-22 Ottobre 2016, pp. 279-288

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  • Il paliotto di San Domenico, Museo dell'Opera del Duomo, Orvieto

    Il restauro del paliotto in cuoio dorato e dipinto detto “di San Domenico”, giunto a conclusione presso il Laboratorio manufatti in cuoio dell’ISCR, è stato effettuato nell’ambito dei progetti conservativi che l’Istituto da tempo conduce insieme con l’Opera del Duomo di Orvieto e la Soprintendenza dell’Umbria. Lo studio del paliotto, in vista del completamento del suo restauro, è stato inoltre oggetto di una tesi di diploma presso la Scuola di Alta Formazione dell' Istituto, nel corso della quale è stata affrontata una sperimentazione sugli adesivi che ha condotto ad un’utile individuazione di materiali e metodologie per il restauro dei manufatti in cuoio. 

    Il paliotto (97x214cm), si compone di più pelli cucite tra loro, dorate, impresse a rilievo con matrici lignee e dipinte ad olio con pigmenti e lacche. È caratterizzato da una decorazione con volute di foglie d’acanto e inserti floreali che corre lungo il fregio e le due quinte laterali.

    I motivi floreali dello sfondo si ripetono in senso orizzontale, con un ritmo alterno in cui ad un fiore grande segue un fiore piccolo. Il fondo su cui si staglia la decorazione floreale è trattato anch’esso a rilievo, presentando una texture che ricorda la vibrazione luminosa dei parati a broccature d’oro.

    Nella parte centrale compare l’immagine, inscritta in un clipeo, di San Domenico di Guzmàn, fondatore dell’omonimo ordine di frati predicatori, rappresentato con la tunica bianca e il mantello nero.

     

    Si ringraziano tutti coloro che hanno partecipato a diverso titolo a questo restauro, in primo luogo Mara Nimmo, che lo ha seguito e diretto nei primi anni, e Lidia Rissotto. Un grazie inoltre a Manuela Andreano, che ha dedicato all'argomento la tesi di diploma, e a Paola Biocca che ha collaborato all'esecuzione delle indagini scientifiche. Infine un ringraziamento particolare a Sara Iafrate, che oltre ad avere condiviso il lavoro di tesi con Manuela Andreano ha partecipato in maniera sostanziale al restauro.

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