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Elefantino di piazza della Minerva a Roma

tecniche di esecuzione

La pulitura delle superfici lapidee dell’Elefantino alla Minerva ha consentito uno studio accurato delle tecniche di esecuzione e di lavorazione. Il riconoscimento delle tracce degli strumenti e la sequenzialità del loro uso forniscono importanti informazioni sia per ricostruire la storia del monumento, sia per le sue vicende conservative.
Il monumento è realizzato in un monolite di marmo di Carrara.. La sua qualità si può definire di seconda scelta, considerate le imperfezioni che presenta la struttura lapidea; nel blocco di marmo, infatti, si evidenziano i cosiddetti “peli”, cioè sottili crepe che lo percorrono in senso longitudinale e piccoli fori detti tarli o “taroli”, ovvero crateri, di esigue dimensioni,  aperti sulla superficie lapidea. Questi inestetismi, solitamente, non pregiudicano il valore estetico e la qualità del marmo una volta messo in opera e lavorato.
Sull’Elefantino della Minerva, permangono molte tracce degli utensili di lavorazione; i segni rilevati sulle superfici sono riconducibili ai seguenti strumenti

Subbia

La subbia è uno scalpello a punta, con un’asta che varia dai 20 ai 30 centimetri di lunghezza e con un diametro compreso tra i 10 e i 25 millimetri; la punta è di forma piramidale e in alcuni casi conica. Nelle sequenze di lavorazione la subbia è usata per la sbozzatura della forma: l’85% della pietra asportata nel processo della scultura è rimosso con questo strumento.
Sulle superfici studiate sono state trovate tracce di subbia sul basamento sottostante l’elefante, lo strumento è stato usato a circa 70 gradi e ha prodotto piccoli avvallamenti provocati dai singoli colpi.

Trapano

Sul monumento il trapano è stato usato sia in fase di sgrossatura, sia per la definizione dei volumi più o meno aggettanti (coda, zanne, superfici arretrate e di fondo) sia in fase di finitura a scopo descrittivo (fiocchi, foglie di quercia, cupola delle ghiande, i fondi della gualdrappa).
L’uso dello strumento ha previsto diverse dimensioni di punte, infatti sono stati distinti fori con un diametro che vanno da circa 3 millimetri a 7/8 millimetri.
Le tracce di lavorazione, inoltre, sono diversificate: in alcuni casi i fori del trapano sono lasciati con i caratteristici ponticelli; sui piani arretrati delle nappe e della gualdrappa, invece, i fori sono ravvicinati e con una sequenza non regolare, mentre per gli elementi decorativi - realizzati a basso rilievo sino allo stiacciato - il trapano è usato per definire i leggeri volumi delle foglie di quercia e delle cupole della ghiande.
Le conchiglie poste nella parte inferiore della palanchina - che ricordano una specie comune denominata “canestrello pettine”-  presentano le scanalature a raggiera, lasciate a spigolo vivo; sono state definite con il trapano per la descrizione dell’andamento delle scanalature e successivamente rifinite, nei dettagli, dallo scalpello e dall’unghietto.
Con il trapano, infine, sono stati definiti i volumi mossi dei cordoncini della gonna del fiocco e della frangia che rifinisce la gualdrappa. In questo caso lo strumento è stato usato con un’angolazione acuta lasciando  fori allungati.

Scalpello e ferro tondo

Sono utensili noti e usati per i lavori di rifinitura. Le dimensioni dell’asta e del bordo di taglio possono essere diverse, a seconda  della superficie da definire; il ferro tondo è uno scalpello con gli angoli del bordo di taglio smussati e arrotondati.
Tracce di lavorazione a scalpello sono evidenti nei contorni che definiscono le zampe dell’elefante le cornici a nastro, della palanchina, della gualdrappa e le punte delle stelle.
Tracce di scalpello usato di taglio sono visibili per la definizione delle unghie e delle rughe che percorrono l’elefante sulle zampe e sulla proboscide e lungo i perimetri delle colline dello stemma Chigi.
Lavorazioni ad unghietto si rilevano sulle nappe, per le scanalature delle conchiglie e delle barbe delle grottesche antropomorfe usato per rifinire i volumi creati con le lavorazioni a trapano.

Picchiarello

È un utensile simile ad un piccolo piccone, con la testa dotata di punte su entrambe le estremità. Con il picchiarello è stata definita la peculiarità della pelle grinzosa e lassa dell’elefante accentuata dalle rughe definite da linee tracciate con lo scalpello impiegato di taglio; tracce del picchiarello, inoltre, si individuano per la rifiniture di alcune cupole delle ghiande.

Gradina

Utensile a mano simile allo scalpello, ma il bordo di taglio è inciso a tacche regolari come una serie di dentelli più o meno appuntiti.
Si usa obliquo alla superficie della pietra in modo da lasciare dei sottili solchi paralleli, interrotti dalla sequenza dei colpi. La gradina è uno strumento che può avere varie dimensioni, dai 5 millimetri ai 10 centimetri; è uno strumento intermedio tra il lavoro di abbozzo con la subbia ed il delicato lavoro di dettaglio.
Sull’Elefantino la gradina è stata usata per la rifinitura dei fondi della gualdrappa e degli elementi caratteristici dello stemma Chigi: la quercia e le ghiande, la stella a otto punte e le sei colline.
Le tracce individuate hanno un andamento discontinuo, in alcuni casi i segni sono orizzontali in altre zone le tracce sono trasversali e verticali; su alcune porzioni la gradina è intervallata dalla martellina, che si presenta come un’ascia a taglio dentato le cui tracce simili a quelle dalla gradina si differenziano per i solchi più corti dove è più evidente l’andamento dei colpi in successione frequente.

 

Sull’Elefantino alla Minerva la sequenza delle tracce di esecuzione e di lavorazione rappresentano una antologia degli strumenti di lavorazione utilizzati per rendere verosimile tutte le caratteristiche proprie della rappresentazione del pachiderma e delle materie degli ornamenti (il tessuto e le guarnizioni della gualdrappa). Tale studio ha permesso di capire che lo scultore ha trattato le superfici del marmo al fine di creare valori cromatici vibranti, esaltati dal gioco di luci e ombre, con una lavorazione apprezzabile anche da una certa distanza. La superficie del marmo, infatti, non presenta politure o trattamenti con la raspa per uniformare le asperità lasciate dalla progressione dei colpi dei vari utensili.
Vanno inoltre evidenziati i vari espedienti esecutivi e tecnici come la gualdrappa che attenua la struttura massiccia dell’elefante perché scende sino al basamento le cui superfici a vista sono lasciate aspre dai colpi della subbia e dai grossi fori del trapano.
La resa della gualdrappa e degli elementi decorativi, inoltre, può apparire lasciata al caso, dato che i segni della gradina e della martellina hanno un andamento discontinuo che, in alcune zone, può sembrare disordinato; ma tali da non compromette la resa finale delle decorazioni.
Durante lo studio delle tracce di lavorazione, si sono potute osservare delle differenze di esecuzione per la resa di alcuni elementi decorativi.
Un caso particolare riguardano i mascheroni che rifiniscono la palanchina. Le differenze si rilevano sia nei particolari descrittivi sia nelle caratteristiche fisionomiche: in quella di sinistra gli occhi allungati sono cavi e senza la pupilla, accentuate dalle profonde rughe della fronte lavorate con l’unghietto, la bocca è semiaperta e rifinita dalla barba che si suddivide in due grandi riccioli creati dai segni del trapano e dello scalpello usato di taglio.
Quella di destra, invece, ha gli occhi aperti  rifiniti da pupille definite con due grandi fori realizzati a trapano, la barba è riccia e risolta con ciocche mosse dove i fori del trapano sono successivamente lavorati con l’unghietto.
Il confronto dei vari elementi (ghiande, stelle, foglie) ha messo in evidenza alcune difformità nella realizzane che potrebbero essere riconducibili alla presenza di più mani e/o a successive rilavorazioni dovute alle manutenzioni; ma queste rimangono ipotesi, dato che  nei dossier relativi ai vari interventi conservativi e di restauro non risulta alcuna documentazione sulla tecnica di lavorazione e sulla rilevazione delle tracce degli strumenti.