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Discussione Tesi di laurea - (18 aprile 2024) - SAF di Matera

Data: 17/04/2024

II Sessione - A.A. 2022-2023

Giovedì 18 aprile 2024, a partire dalle ore 09:30, presso l’Aula Magna della sede ICR di Matera, collocata nell’ex Convento di S: Lucia alla Fontana, conseguiranno il titolo di Diploma di Laurea Magistrale in “Conservazione e Restauro dei Beni Culturali” quattro allieve della Scuola di Alta Formazione dell’ICR, sede di Matera, nell’ambito del percorso formativo professionalizzante PFP1 (Materiali lapidei e derivati; superfici decorate dell’architettura) e PFP2 (Manufatti dipinti su supporto ligneo e tessile; manufatti scolpiti in legno; arredi e strutture lignee; manufatti e materiali sintetici lavorati, assemblati e/o dipinti).

La sessione di laurea avrà luogo in presenza; è previsto un collegamento da remoto sulla piattaforma Google Meet, accessibile da questo link

1. CandidataChiara Russo

Settore PFP1: Materiali lapidei e derivati; superfici decorate dell’architettura

Titolo Tesi:

Il restauro di un dipinto murale inedito nella cripta dei Santi Pietro e Paolo a Matera: studio di malte ad elevata porosità per le stuccature in ambiente ipogeo

Relatori:

Sara Iafrate, restauratrice ICR (coordinatore);

Giancarlo Sidoti, chimico ICR (aspetti scientifici);
Francesca Fabbri, storica dell’arte ICR (aspetti storico artistici).

Altri relatori:       
Serena Cinelli, docente di restauro a contratto; Marco Bartolini, laboratorio di biologia ICR; Elisabetta Giani, laboratorio di Fisica e controlli ambientali ICR; Lucia Conti, laboratorio di prove sui materiali ICR; Ludovica Ruggiero, laboratorio di prove sui materiali ICR; Maria Elena Corrado, architetto ICR; Giorgio Sobrà, architetto ICR; Angelo Rubino, laboratorio di rilievo e documentazione 3D ICR; Claudio Santangelo, laboratorio di rilievo e documentazione 3D ICR; Francesco Frullini, architetto professionista esterno; Mariagrazia Di Pede, storica dell’arte SABAP Basilicata.

Argomento 

Il lavoro di tesi è stato condotto su un dipinto murale frammentario inedito, raffigurante una teoria di santi e datato al XII-XIII secolo, presente all’interno della cripta dei Santi Pietro e Paolo, nella Chiesa di San Francesco d’Assisi a Matera. Il dipinto versava in una situazione di degrado avanzato, caratterizzato da morfologie di danno che da una parte impedivano completamente la lettura del testo pittorico, dall’altra ne minavano gravemente la sussistenza.

Tali forme di degrado erano ascrivibili a patine e concrezioni formatesi a causa della cristallizzazione di sali solubili e alla deposizione di ossidi di manganese di colore bruno, precipitati sopra e all’interno dei materiali costitutivi. Inoltre, l’azione disgregante della cristallizzazione dei sali aveva provocato considerevoli cadute dell’intonaco e della pellicola pittorica, con una consistente perdita del tessuto figurativo. La pellicola pittorica mostrava diffusi problemi di adesione, mentre l’intonaco e la calcarenite del supporto mostravano un grado di coesione molto basso. Una condizione così grave ha imposto l’elaborazione di metodologie adeguate a poter rispondere alla complessità delle esigenze conservative dell’opera e del contesto ipogeo. In particolare, dal punto di vista operativo, la presenza di una complessa stratigrafia di patine di diversa composizione chimica, ha imposto l’utilizzo e la messa a punto di metodologie di pulitura estremamente differenziate e selettive, che tenessero conto oltretutto dell’estrema fragilità dei materiali costitutivi sottostanti.

L’estremo grado di decoesione e la diffusione dei fenomeni di deadesione, inoltre, hanno imposto una riflessione sulle metodologie di consolidamento più idonee al contesto ipogeo rupestre, portando all’individuazione e all’utilizzo di nuovi prodotti green.

Lo stato di conservazione dell’opera ha poi guidato la scelta dell’argomento oggetto dello studio sperimentale. La principale problematica emersa durante la progettazione dell’intervento, infatti, è stata quella di individuare materiali per la stuccatura che presentassero una serie di requisiti fondamentali in relazione all’estrema fragilità dell’opera e al particolare contesto di conservazione in cui si stava operando (quello ipogeo). La mancanza in commercio di prodotti che soddisfacessero tutti i requisiti richiesti dal caso studio, ha fornito l’occasione per studiare materiali che, additivati alle tradizionali malte da restauro, conferissero loro un’elevata porosità e traspirabilità e soprattutto una bassa resistenza meccanica. L’approfondimento sperimentale ha quindi riguardato lo studio di una particolare categoria di sostanze reagenti espansive, in particolare della polvere di alluminio. Questa, infatti, reagendo con l’alcalinità della calce, innesca una reazione con sviluppo di gas, determinando l’espansione della malta e una conseguente elevata porosità interna.

La scelta dell’argomento è stata motivata anche dalla scarsità di studi reperiti in letteratura sull’impiego di questo materiale nell’ambito del restauro e con questo specifico utilizzo.

Lo studio sperimentale ha previsto una prima fase di test eseguiti in laboratorio su campioni, al termine della quale il prodotto risultato migliore è stato applicato in situ per la realizzazione di alcune stuccature di intervento sul dipinto oggetto di tesi. Questo consentirà di valutare il comportamento del prodotto testato in situ, attraverso un programma di monitoraggio futuro.

2. Candidata: Francesca Stefanelli

Settore PFP1: Materiali lapidei e derivati; superfici decorate dell’architettura

Titolo Tesi:       
Il Mosaico staccato di Montescaglioso. Studio, conservazione e restauro della stratigrafia originale

Relatori:

Eleonora Gioventù, restauratrice ICR (coordinatore);

Angelo Raffaele Rubino, laboratorio di rilievo e documentazione 3D ICR (aspetti scientifici);

Giorgio Sobrà, architetto ICR (aspetti storico artistici).

Altri relatori: Fabiana Moro, docente di restauro a contratto; Alessandro Lugari, restauratore presso il Parco Archeologico del Colosseo; Michele Macchiarola, chimico presso il CNR-ISSMC di Faenza (RV); Fabio Donnici, archeologo e docente presso UNIBAS; Davide Melica, geologo professionista esterno.

Argomento

Il Mosaico di Montescaglioso è un manufatto scoperto negli anni ’50 del secolo scorso, noto per l’importanza documentale della sua epigrafe musiva in opus tessellatum datata al I secolo a.C. Il manufatto è stato oggetto di un intervento di distacco al momento del suo rinvenimento, grazie al quale è oggi possibile osservare integralmente la sua stratigrafia originale, dato piuttosto raro nel caso di mosaici distaccati, per i quali le conseguenti operazioni di restauro spesso non ne permettono la conservazione.

La tecnica musiva a ciottoli non figurata, che costituisce parte integrante della pavimentazione, era stata fino ad oggi trascurata: grazie all’intervento di restauro, al di sotto della malta di allettamento dell’opus tessellatum, è stata riconosciuta la malta di allettamento dei ciottoli, determinandone la preesistenza rispetto al tessellato. Dunque, il mosaico a ciottoli e i suoi strati preparatori costituirebbero la pavimentazione antecedente in cui è stato praticato uno scasso, nel I secolo a.C., per l’inserimento dell’iscrizione in tessere, posta a memoria dell’intervento evergetico riportato.

Considerata la rarità dei mosaici a ciottoli non figurati a bassa densità superficiale e l’interesse suscitato dall’opportunità di poter studiare integralmente la stratigrafia originale, nell’ambito di questo lavoro di tesi si è scelto di approfondire l’aspetto tecnico esecutivo del manufatto parallelamente alla progettazione e realizzazione dell’intervento conservativo più idoneo.

Inoltre, durante le prime osservazioni relative all’approfondimento storico-tecnico, è subito emersa la necessità di conservare la terra di allettamento presente tra gli elementi fittili dello strato preparatorio di drenaggio, in quanto parte integrante della tecnica esecutiva. Questa esigenza ha determinato la scelta del secondo argomento della ricerca della tesi, che ha riguardato i materiali per il consolidamento della terra cruda. L’approfondimento scientifico ha permesso di scegliere il prodotto consolidante e la metodologia di applicazione più idonea al caso oggetto di tesi, permettendo la conservazione e il restauro di un materiale spesso trascurato. L’opera ha così offerto l’occasione per confrontarsi con le numerose problematiche conservative che un manufatto comprensivo della sua stratigrafia originale pone e, nello specifico, l’approccio a un materiale tanto fragile, quanto compatto.

Infine, data la necessità di individuare sistemi di movimentazione per ogni frammento che garantissero di eseguire tutte le operazioni di restauro in totale sicurezza e nel rispetto della materia antica, è stato altresì necessario progettare un adeguato sistema di supporto dei frammenti. Questo, oltre a consentire la lettura della stratigrafia, risulta completamente reversibile ed assolve anche a una funzione strutturale, necessaria per sostenere i frammenti e distribuire omogeneamente i pesi, restituendo così l’unità formale ed estetica del Mosaico di Montescaglioso.

3. Candidata: Beatrice Ridolfi

Settore PFP2 – Manufatti dipinti su supporto ligneo e tessile; manufatti scolpiti in legno; arredi e strutture lignee; manufatti e materiali sintetici lavorati, assemblati e/o dipinti

Titolo Tesi: Il restauro del dipinto Santa Caterina d’Alessandria proveniente dalla Galleria Nazionale delle Marche. Analisi comparativa delle caratteristiche e delle alterazioni dei colori a vernice impiegati nelle opere mobili

Relatori:

Francesca Graziosi, restauratrice ICR (coordinatore);

Angelo Raffaele Rubino, laboratorio di rilievo e documentazione 3D ICR (aspetti scientifici);

Francesca Fabbri, storica dell’arte ICR (aspetti storico artistici).

Altri relatori:     
Giuseppe Agulli
, docente di restauro a contratto; Francesca Capanna, restauratrice ICR; Davide Melica, geologo professionista esterno; Carlotta Sacco Perasso, docente di biologia a contratto; Fabio Aramini, docente di fisica a contratto; Giulia Germinario, chimico del CNR/ISCP di Lecce.

Argomento

Il lavoro di tesi ha come oggetto l’intervento di restauro sul dipinto su supporto tessile raffigurante Santa Caterina d’Alessandria, realizzato nel primo quarto del XVII secolo in ambito marchigiano e attualmente conservato presso la Galleria Nazionale della Marche in Urbino.

L’opera rappresenta la santa a grandezza naturale con i suoi attributi iconografici. La totale assenza di informazioni sulla sua realizzazione ha stimolato ricerche sul contesto storico-artistico di Urbino tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, nonché sugli aspetti tecnico-esecutivi che potrebbero fornire informazioni utili per formulare ipotesi di attribuzione dell’opera. Lo studio preliminare necessario per condurre l’intervento di restauro si è concentrato sulla ricostruzione delle vicende conservative dell’opera. A tal fine, si sono svolte ricerche d’archivio che potessero far luce sulla storia conservativa del dipinto, come il suo ingresso nella collezione di Palazzo Ducale, avvento grazie alla donazione effettuata da Alipio Alippi, e sugli interventi di restauro condotti all’inizio del Novecento tra Firenze e Urbino, che hanno influenzato significativamente il suo aspetto attuale.

Lo studio degli interventi precedenti è stato possibile grazie alla combinazione di ricerche bibliografiche, ricerche di archivio e indagini scientifiche, che hanno permesso di impostare in maniera organica l’intero progetto.

L’intervento di restauro è stato quindi pianificato con un approccio critico volto a definire la metodologia operativa più corretta, al fine di ripristinare una giusta resistenza meccanica del supporto tessile, notevolmente compromesso da lacune di supporto, e garantire una corretta lettura dell’opera. Le esigenze conservative relative alla restituzione estetica hanno richiesto una fase preliminare di studio rispetto alla fase esecutiva. La frammentarietà della pellicola pittorica ha, infatti, stimolato un approfondimento sulle caratteristiche e sulla stabilità richiesta ai materiali per la reintegrazione pittorica dei dipinti mobili. A tale scopo, è stata realizzata un’analisi comparativa tra diverse linee di colori a vernice di produzione industriale, disponibili nel mercato internazionale, e gli impasti autoprodotti con le medesime componenti.

Sono state valutate caratteristiche di resa ottica su prodotti tal quali, la stabilità cromatica e di bagnabilità a seguito dell’esposizione dei prodotti a un invecchiamento artificiale, costituito da una prima fase di irraggiamento e da una seconda fase di stress termoigrometrico. Inoltre, sono stati condotti test di solubilità per valutare la reversibilità dei prodotti precedentemente invecchiati. La valutazione finale delle caratteristiche e delle alterazioni di tali materiali per il ritocco a vernice ha portato a una scelta più consapevole del prodotto da impiegare nel dipinto oggetto di tesi, permettendo la restituzione di un complessivo equilibrio visivo che mira a favorire una corretta lettura dell’opera, pur rispettandone le vicende conservative.

4. Candidata: Federica Salvemini

Settore PFP2 – Manufatti dipinti su supporto ligneo e tessile; manufatti scolpiti in legno; arredi e strutture lignee; manufatti e materiali sintetici lavorati, assemblati e/o dipinti

Titolo Tesi: Studio e restauro delle Music Machines di Joe Jones (1973). L'uso dell'energia solare per il restauro sostenibile di opere cinetiche

Relatori:

Serena Sechi, restauratrice ICR (coordinatore);

Roberto Ciabattoni, fisico ICR (aspetti scientifici);

Angelandreina Rorro, storica dell’arte ICR (aspetti storico artistici).

Altri relatori:

Antonella Malintoppi, restauratrice professionista esterna; Davide Melica, geologo professionista esterno; Francesco Frullini, architetto professionista esterno; Angelo Raffaele Rubino, laboratorio di rilievo e documentazione 3D ICR; Flavio Garzia, ufficio tecnico ICR; Alessandro Pierangeli, ufficio tecnico ICR.

Argomento

La prima parte della tesi si è incentrata sullo studio e sul restauro di due opere cinetico-sonore, appartenenti alla serie delle Music Machines di Joe Jones, datate al 1973 e provenienti da MUSEION - Museo di arte moderna e contemporanea di Bolzano.

In primo luogo, è stata condotta un’analisi storico-artistica focalizzando l’attenzione, all’interno del vasto e complesso panorama FLUXUS, sugli aspetti più pertinenti al lavoro di Joe Jones. Attraverso lo studio dei suoi testi e disegni, ma anche grazie alle conversazioni avute con persone che lo hanno conosciuto durante la sua permanenza in Italia, è stato possibile ampliare la conoscenza della poetica di questo artista poco noto, offrendo così una panoramica completa della sua produzione artistica.

In secondo luogo si è portato avanti un attento studio della tecnica esecutiva e dello stato di conservazione attraverso schedature, documentazione fotografica e grafica e indagini scientifiche, al fine di affrontare in maniera adeguata il restauro conservativo delle opere. È stato necessario esaminare i due aspetti principali di queste opere: l'aspetto cinetico e quello polimaterico, essendo composte da legno, materiali plastici e metallici. Il primo ha comportato la gestione della rifunzionalizzazione dell'apparato elettrico, mentre il secondo ha richiesto approcci differenti in base ai diversi materiali.

L’intervento di restauro ha avuto come obiettivo quello del ripristino dell’aspetto originale dell’opera e della sua funzionalità, dunque del suono, al fine di preservare e rispettare il messaggio poetico e la volontà dell'artista, consentendo così agli spettatori la corretta fruizione dell’opera.

Una fase fondamentale del restauro è stata, infatti, quella del recupero della funzionalità dell’apparato elettrico originale, tramite un’attenta pulizia dei contatti elettrici e degli elementi interni al motore, scongiurando così sostituzioni di elementi originali. Ciò ha consentito il ripristino del movimento dell’opera con il sistema di alimentazione originale utilizzato dall’artista, ovvero le batterie. Il problema dello smaltimento delle batterie non era molto sentito negli anni Settanta del secolo scorso, mentre ora è noto che il loro impatto sull’ambiente è altamente dannoso. In quest’ottica, e anche in considerazione della crescente attenzione dei musei alla tematica della sostenibilità, si è pensato di proporre un sistema di alimentazione alternativo ad energia solare, meno impattante a livello ambientale e che consenta di eliminare la manipolazione diretta con le opere. Questo sistema è potenzialmente valido per tutte le opere cinetiche che presentano un’alimentazione autonoma, ovvero non hanno necessità di essere collegate alla presa elettrica.

Il restauro di queste opere cinetico-sonore, come spesso accade occupandosi di conservazione dell’arte contemporanea, ha presentato nuove sfide che hanno comportato soluzioni innovative e competenze che vanno oltre quelle tipicamente richieste al conservatore. È stato pertanto essenziale collaborare con un team multidisciplinare al fine di gestire tutti gli aspetti coinvolti. In questi contesti, ancor più che in altri, è fondamentale che il restauratore sia in grado di lavorare in sinergia con altre figure professionali, esperte nel settore specifico, coordinando il lavoro e prendendo decisioni sulle operazioni da svolgere seguendo un ragionamento critico, nel rispetto dell’opera e del suo messaggio.

Proclamazione alle ore 16:00

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