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Villa Farnesina-Chigi: Sala del Sodoma

presentazione

Dalla documentazione d’archivio dell’Istituto dei primi anni ’70 appare evidente che i lavori al Lungotevere abbiano costituito la premessa per intraprendere quella “Revisione generale della decorazione ad affresco nel palazzo della Farnesina a Roma” di cui si parla già un decennio prima rispondendo all’invito rivolto nell’autunno del 1959 dal Presidente dell’Accademia dei Lincei. Se la Loggia di Galatea è il primo ambiente a cui si lavora (per effetto anche dell’allarme suscitato dalla caduta di porzioni dell’apparato pittorico), seguono subito ricognizioni nel resto della villa, nell’ambito di una campagna completa e approfondita di osservazioni e progetti d’intervento.  La relazione tecnica allegata alla perizia di spesa n. 4 del 1 febbraio 1974, firmata dal restauratore Paolo Mora, prevede lavori di “consolidamento, pulitura e restauro degli affreschi del Sodoma e altri artisti del XVI secolo” e fa riferimento all’ “effettuazione del piano di lavori predisposto per il restauro dell’intera decorazione pittorica della Villa”. In merito alla Sala di Sodoma si legge che “tutti gli affreschi, molto danneggiati, hanno subito nel 1870 e agli inizi di questo secolo due restauri, con consistenti integrazioni dell’intonaco e rifacimenti della pittura. Allo stato attuale la superficie dipinta appare offuscata dai ritocchi alterati, mentre l’intonaco è in alcuni punti staccato dall’arriccio. La presente perizia prevede i lavori necessari per riparare ai danni suddetti, lasciando inalterati i rifacimenti ottocenteschi che non ricoprano parti originali e che risultino esteticamente accettabili e in buono stato di conservazione”. Per valutare la complessa situazione legata alla stratificazione dei vari restauri subiti dall’apparato pittorico viene anche chiesto un parere del Consiglio Superiore che, nella persona del presidente Argan, ribadisce la necessità che “siano rispettate le parti anticamente rifatte in corrispondenza delle zone prive di colore originale”. I restauratori coinvolti sono Mancinelli e Nerina Neri Angelini dalle cui relazioni manoscritte possiamo dedurre come anche in questo caso siano stati evidenziati gli stretti legami tra la vita conservativa dell’apparato pittorico e i notevoli accidenti strutturali occorsi all’edificio, le cui conseguenze in termini di lesioni e deformazioni sembrano aver prodotto ampi interventi di restauro già in epoca remota (si ipotizza a fine ‘500). L’intervento dell’Istituto comporta – fra l’altro – un ampio consolidamento per rimediare alle precarie condizioni di stabilità dell’intonaco e un’estesa operazione di rimozione del “denso beverone scuro dato a colla” risalente al Novecento e documentato dall’iscrizione “Vito Mameli restaurò nel maggio 1915”.