• home
  • Restauri - Restauri in corso

Clipeo raffigurante il Salvatore Benedicente, Guidonia Montecelio (RM)

analisi storico-critica

Il dipinto murale rappresenta un Cristo benedicente secondo la tradizionale iconografia del Pantokrator, raffigurato a mezzo busto in atto di benedire “alla greca” con la mano destra mentre nella sinistra sorregge il Libro. Il Salvatore è inserito in un clipeo a fasce concentriche di colore rosso cupo, bianco, e verde e si staglia su un fondo che originariamente appariva blu e che ha virato sui toni del verde a causa dell’alterazione del pigmento. Il Cristo è abbigliato con una veste bianca ed un manto porpora, con fasce decorative giallo-oro sui bordi, impreziosite da finti castoni gemmati. Lo stesso tono dorato campisce l’aureola crucisegnata che incornicia i capelli, segnati da lumeggiature chiare molto decise a formare una fitta trama lineare. La bidimensionalità e la resa compendiaria delle forme e dei volumi attiene in parte al linguaggio figurativo del frescante e più in generale alle peculiarità tecniche della pittura rupestre, ma nel caso del clipeo queste caratteristiche sono state indubbiamente amplificate dalla storia conservativa dell’opera, trafugata nel 1978 dalla volta dell’oratorio di San Nicola tramite uno stacco che ha comportato la perdita di molte delle finiture del dipinto murale.

Nelle descrizioni successive alla riscoperta, avvenuta nel 1972 dopo secoli di abbandono, della cripta di Marco Simone Vecchio da parte del Gruppo Archeologico Romano, si legge che il Pantokrator, dipinto all’interno del campo circolare con fondo blu chiaro, presentava il volto e le mani di colore biancastro ravvivati da sicure pennellate bruno-rossicce che oggi non sono più visibili e che dovevano conferire agli incarnati maggiore vividezza e definizione chiaroscurale.

L’attuale stato di conservazione degli affreschi rimasti in situ non dà purtroppo indicazioni utili alla comprensione dell’originaria qualità pittorica dei dipinti murali medievali che decorano l’ambiente ipogeo, ma nel 1972 il prof. Bertelli, allora direttore del Gabinetto Fotografico Nazionale, visitò l’oratorio stendendo una dettagliata relazione ed effettuando una campagna fotografica.

Il suo lavoro di documentazione, così come le testimonianze dei volontari del Gruppo Archeologico, consentono una ricostruzione abbastanza sicura del programma iconografico. I due clipei trafugati vennero scalpellati da una volta dipinta a stelle rosse su fondo bianco ed erano accompagnati da un terzo tondo, parzialmente crollato, che rappresentava verosimilmente un Angelo. Le pareti dell’oratorio presentano una decorazione duecentesca a pannelli entro cornici con figure di santi (identificati da iscrizioni gotiche ormai scarsamente leggibili) e due scene narrative frammentarie sempre di XIII secolo, una Flagellazione e una Crocefissione, mentre in corrispondenza della volta a botte, sotto la quale in origine doveva trovarsi l’altare principale, campeggia una Croce greca patente con elementi vegetali stilizzati, databile per il prof. Bertelli all’XI secolo. È molto probabile quindi che la chiesa rupestre sia stata più volte affrescata nel corso della sua storia, tanto che al di sotto della volta stellata su fondo bianco traspare in alcuni punti una stesura d’intonaco precedente con fondo blu probabilmente altomedievale al pari di una figura frammentaria di santo, ormai illeggibile, in una delle nicchie che si aprono sul lato destro dell’ambiente. È quindi probabile che la chiesa rupestre fosse già officiata e decorata nell’VIII-IX secolo, ma le fasi decorative più importanti, alle quali è possibile ricondurre anche il Cristo Pantokratore e dell’Agnus Dei attualmente in restauro all’ISCR, sono ascrivibili al XII-XIII secolo e mostrano un linguaggio pittorico in linea con i contemporanei esempi della pittura laziale.